Versione originale inglese: http://library.duke.edu/rubenstein/scriptorium/wlm/womid/
Traduzione di Liana Borghi: http://www.omofonie.it/nov_dic2007/cli_1986_marzo.pdf
Versione originale inglese: http://library.duke.edu/rubenstein/scriptorium/wlm/womid/
Traduzione di Liana Borghi: http://www.omofonie.it/nov_dic2007/cli_1986_marzo.pdf
L’8 marzo per il terzo anno consecutivo, l’MFLA andrà in onda per 24h sugli 87.9 di ROR, dando voce a donne femministe e lesbiche di ogni dove. Il 22 parteciperà con uno spazio dedicato al separatismo, dalle 10h30 alle 11h00. Qui trovate tutto il programma della giornata!
Buon ascolto!
Ecco i link ad alcuni dei testi citati in trasmissione
Radicalesbians (1970?) http://www.omofonie.it/nov_dic2007/cli_1986_marzo.pdf
Marilyn Frye, Riflessioni su separatismo e potere (1977) http://www.omofonie.it/aprile2010/cli_marzo_1989.pdf
Il Cerchio spezzato (1971) http://www.universitadelledonne.it/cerchiosp.htm
Buona lettura!
Alcuni giorni sono passati da quell’articolo di cronaca sull’Huffington Post dal titolo “Degrado San Lorenzo, centri sociali si scoprono legge e ordine” e molte analisi e critiche sono state già espresse negli spazi di dibattito aperte dai microfoni della radio dai compagni e dalle compagne.
Questo perché quelle dichiarazioni rilasciate sull’Huffington, sia nell’impianto retorico di ricostruzione della realtà dei problemi che attraversano il quartiere di San Lorenzo, sia nel lasciarne intravedere soluzioni di ordine pubblico, non potevano essere lasciate a decantare nel mare magnum delle narrazioni mistificatorie. O anche, delle notti in cui tutte la vacche sono grigie. O della mano sinistra che non sa quello che fa la destra.
Anche noi, come gruppo di compagne femministe e lesbiche della sede del 22 di Via dei Volsci, sentiamo l’urgenza di condividere un po’ di ragionamenti, e anche un po’ della nostra storia.
La problematicità di San Lorenzo e di molti altri quartieri di Roma è profondamente legata all’intreccio di interessi economici da “mani sulla città” che sta ridisegnando in maniera sempre più accelerata ed aggressiva l’assetto urbano. Spartizione di porzioni di territorio e ogni tanto una guerra di ridefinizione degli equilibri che interessano su vari livelli il piano istituzionale. Questo avviene in una situazione probabilmente neanche più “riformabile” dall’interno di queste strutture di poteri. Inevitabile e funzionale il viraggio a destra, anche sul piano culturale.
Che tutto questo sia mistificato da una sistematica montatura mediatica, ce lo dimostra l’articolo dell’Huffington in cui si palesa l’intento politico di portare avanti una campagna demagogica, securitaria e xenofoba contro coloro che sono stati definiti ‘nordafricani’, molto probabilmente spacciatori, che hanno organizzato una spedizione al 32, armati di coltelli, sassi e spranghe”.
Se uno “spazio sociale autogestito” è arrivato oramai ad interpretare la soluzione di profonde contraddizioni richiamandosi all’ordine pubblico significa che il suo terreno di proposta politica è eroso da tempo. Di cosa si potrebbe dunque discutere?
Vero è che in via dei Volsci si verificano sempre più frequentemente episodi di violenza che fanno percepire a tante e tanti come pericoloso anche il solo passaggio in strada.
Vero è anche che, nella via, la sede femminista del 22 e le compagne che la attraversano, subiscono violenze e attacchi sempre più alla luce del sole e che si susseguono atti intimidatori di matrice patriarcale, lesbofobica e fascista contro un luogo che ha raccolto nel tempo le molteplici esperienze politiche di donne e lesbiche.
Ma questa repressione da anni è agita dall’interno di quei 50 metri di strada in un clima di omertà e di complicità diffuse. La narrazione mediatica di questi giorni è la conferma di tale scelta politica che mostra ormai chiaramente la sua matrice culturale razzista e fascista.
È inaccettabile infatti come non solo venga riproposto l’intreccio pericoloso tra violenza e sicurezza, ma sia demonizzato l’immigrato che, secondo l’intervistato, molesta sessualmente “le ragazze di sinistra” poiché non si è ancora liberato delle sue sovrastrutture maschiliste (in questo passaggio oltre al valore aggiunto dell’ipocrisia, tocchiamo altissimi livelli di grottesco).
Inoltre, rimarcare la questione culturale utilizzando degli stereotipi a fini mistificatori e razzisti ricaccia nell’ombra che la violenza contro le donne è un fenomeno storico politico complesso e diffuso. Anche in tal caso l’operazione è quella di descrivere come altro da sé colui che agisce le aggressioni maschiliste, mentre ci si auto incensa come uomo “per bene” solidale difensore della questione femminile. La logica che sancisce la divisione ipocrita tra uomini “perbene” e uomini “per male”, spesso immigrati rappresentati come violenti, maschilisti ‘altro da sé’, impedisce di interrogarsi consapevolmente su che cos’è e su come si manifesta la violenza contro le donne, sui modelli relazionali che questa società patriarcale propone e difende e sul perché questo sistema ancora viene interiorizzato da tutti e dunque normalizzato.
Su questo il 24 novembre 2007 abbiamo preso parola in maniera chiara insieme ad altre 150mila donne, femministe e lesbiche che scesero in piazza per manifestare contro la violenza maschile sulle donne, contro il pacchetto sicurezza, contro la retorica sulla famiglia: il corteo si apriva con lo striscione “La violenza degli uomini contro le donne comincia in famiglia e non ha confini”.
In quella occasione abbiamo affermato che i luoghi principali in cui avviene la violenza contro le donne sono quelli delle relazioni con uomini conosciuti, che siano padri, figli, fratelli, amici o compagni. Sono quelli che convenzionalmente si trovano ai vertici dei valori, dei richiami della religione e della politica: la casa, la coppia, la famiglia.
Ancora più inaccettabile quindi se, attraverso il pretesto del degrado e dell’insicurezza utilizzati come collante ideologico, sedicenti compagni, passano sui nostri corpi e li strumentalizzano , invocando maggiori controlli sui territori da parte delle forze dell’ordine. Nel 2007 abbiamo fortemente contestato la giunta Veltroni, che strumentalizzando lo stupro di Giovanna Reggiani approvò una serie di norme che autorizzavano retate ed espulsioni.
Il rifiuto della strumentalizzazione dei nostri corpi per varare il pacchetto sicurezza è stato chiaro e forte, come è chiara e forte la denuncia della stessa strumentalizzazione oggi incarnata nelle disposizioni del cosiddetto “decreto contro il femminicidio”.
Come donne femministe e lesbiche conosciamo bene il legame che intercorre tra la militarizzazione dei territori e l’aumento dell’oppressione e delle violenze nei confronti delle donne.
Gli apparati militari, politico-giudiziari, con la scusa della sicurezza, sperimentano nei territori forme di controllo sociale particolarmente repressive, arrogandosi una “speciale” libertà di azione che equivale ad azioni violente, subite in primo luogo dalle donne. Tale violenza è sistematicamente celata dalla cultura del silenzio, di cui l’esperienza dello stupro da parte di militari dell’operazione “strade sicure” all’Aquila è un esempio lampante.
Nei tribunali, nelle questure, per strada e in famiglia, lo Stato e la legge si impegnano a cancellare la voce delle donne che nominano la violenza e reagiscono contro di essa. La legge non potrà mai corrispondere alle nostre esigenze perché ha come fine quello di difendere e perpetuare, in maniera sempre più meschina ed insidiosa, quella che noi chiamiamo “cultura dello stupro”, cioè l’arma con la quale viene esercitato il controllo su di noi.
Questa cultura assurda, che da una parte colpevolizza, ridicolizza ed isola le donne che svelano ed esplicitano i meccanismi di riproduzione della violenza, dall’altra giustifica chi la agisce riconfermandone il ruolo all’interno della società, è imbevuta della violenza maschile e non ha passaporto né confini.
E’ per scardinare tutto questo che ci avranno solo e sempre guerrigliere, in continua lotta contro tutte le forme di oppressione, contro tutte le strategie per ridurci al silenzio.
E’ per scardinare tutto questo che come donne, femministe e lesbiche scegliamo il separatismo come momento di riconoscimento e forma di lotta autonoma per l’autodeterminazione.
E’ per scardinare tutto questo che scegliamo percorsi di costruzione di relazioni che abbiano come fondamento il riconoscimento e il rispetto delle diversità nella prospettiva di lotte per la liberazione e trasformazione dell’esistente.
E’ per scardinare tutto questo che rifiutiamo la mercificazione degli spazi collettivi, linea sottile che porta la logica del guadagno laddove vogliamo mutuo appoggio e libertà di espressione delle soggettività in lotta.
E’ per scardinare tutto questo che rivendichiamo la natura politica e non di centro sociale della sede di via dei volsci 22.
E’ per scardinare tutto questo che agiamo ricordandoci sempre che è il come facciamo le cose che ci da il senso e la misura di una politica che vuole rivoluzionare le proprie esistenze e la società tutta.
Compagne femministe e lesbiche del 22
Respinto questa mattina l’ennesimo tentativo di accesso dell’ufficiala giudiziaria. Abbiamo ottenuto il rinvio al 9 aprile.
Grazie a tutte della solidarietà espressa coi corpi, le parole, l’energia e la lotta.
Le aggressioni fasciste e la speculazione edilizia non ci sgomberano!!!
Guerrigliere sempre! Non un passo indietro!
compagne femministe e lesbiche del 22
Ovviamente non sono mancati gli scontri/affronti/insulti verbali dei nostri vicini di strada, addirittura spalleggiati dalle guardie, ma c’è stata anche espressa tanta solidarietà dalle donne del quartiere che abbiamo incontrato.
PRESIDIO ANTI-SGOMBERO VENERDI’ 24 ALLE 8h PUNTUALI davanti al 22
In risposta alle ultime bombe allo spazio liberato di femministe e lesbiche in via dei volsci 22…
invitiamo tutte le donne, le femministe, le lesbiche all’appuntamento di sabato 18 gennaio alle 11 in via dei volsci 22 per risistemare la sede e animare quella parte di quartiere mostrando come alla repressione noi rispondiamo con la lotta!
Ricordiamo a tutte la prossima colazione resistente antisgombero venerdì 24 gennaio alle ore 8h30 puntuali.
non un passo indietro
compagne femministe e lesbiche del 22
Passa l’anno ma le bombe alla sede di femministe e lesbiche di via del Volsci non si fermano!
L’ultimo attacco dinamitardo è dell’altro ieri, 8 gennaio, mentre la sera del 30 dicembre quando arriviamo in via dei Volsci per la quarta bomba in 3 giorni, ci accoglie il coretto faccetta nera cantata da uno sulla porta del civico 26, noi reagiamo verbalmente e un altro ci dice ‘qua semo tutti fascisti’.
Poco dopo ritrattano dicendo ‘daje semo tutti compagni’ e in due escono dalla sede con i bastoni, per poi rientrarvi… la solita merda che aggredisce da anni le compagne femministe e lesbiche in via dei Volsci e che ora vive e vegeta dentro la sede del civico 26 e 28 della via.
Come abbiamo già scritto sono attacchi che hanno danneggiato in maniera molto grave la porta e l’interno della sede. I locali confinanti alla nostra sede sono stati infatti dichiarati inagibili per il cedimento della parete divisoria a seguito dell’esplosione. Ovviamente quella che più ci guadagnerà da questa situazione sarà la proprietà che sta cercando di sgomberarci da quattro anni, ed ora ha la bandiera dell’inagibilità da sventolare.
Dove non arriva lo stato, dove le società immobiliari e finanziarie trovano la nostra resistenza, ci pensa la bassa manovalanza dello spaccio di San Lorenzo, funzionale al mantenimento del controllo del territorio, in difesa di interessi economici della ‘Bamba Spa’, altra faccia della repressione che ci vuole sottomesse e docili.
Sono nove anni che questo genere di attacchi si ripetono, sempre più alla luce del sole e con modalità sempre più gravi, nella quasi indifferenza e normalizzazione di questa forma di repressione.
Questa è la repressione patriarcale che ci vorrebbe solo silenziose, tranquille, concentrate sul “nido familiare”, convinte che meglio non fare, meglio non dire… meglio non muoversi mai, così non si vedranno le nostre catene!
Attacchi intimidatori di matrice patriarcale, lesbofobica e fascista, quindi, che colpiscono un luogo che ha raccolto negli anni le molteplici esperienze politiche di donne e lesbiche, che ha ospitato autorganizzazione e saperi. Le azioni violente contro le lesbiche e le femministe, i tentativi di minare la nostra agibilità e ricondurci all’ordine, al silenzio e all’obbedienza, non trovano una ferma opposizione in via dei Volsci, ma anzi un terreno fertile dove proliferare in un clima di complicità e omertà diffusa.
Politica territoriale, di cui si riempiono la bocca i nostri vicini di casa tra una campagna elettorale e l’altra, è contaminare il territorio e i/le sue abitanti con contenuti e comportamenti che trasformino l’alienazione, la sopraffazione e lo sfruttamento in consapevolezza, solidarietà tra i vissuti e le lotte, socialità non mercificata. In via dei Volsci non accade nulla di tutto questo, anzi accadono repressione, lesbofobia, machismo e fascismo nel linguaggio, nei comportamenti e nell’iconografia, e questo come prassi accettata della strada.
Le condizioni di difficoltà che attraversa questo territorio sono note a tante e tanti che questa via l’hanno abitata e abbandonata, lasciando cadere la possibilità di un ragionamento politico che si assumesse la messa in campo di una reazione di fronte al dilagare di una politica sempre più machista e prepotente, di una politica della connivenza con la Bamba S.p.a che, anche se in maniera meno evidente, controlla anche altri territori di Roma, di una politica che parla di beni comuni e pratica l’utilizzo privatistico di sedi politiche cittadine.
Noi Via del Volsci l’abitiamo da anni e non ci cacceranno né le aggressioni sessiste e lesbofobiche, né le bombe, né tanto meno le minacce di inagibilità che la proprietà userà contro di noi. Sappiamo quanto sia importante che i luoghi liberati da alcune restino liberati per le altre, in modo da accogliere sempre “il possibile” delle esperienze politiche di tutte le femministe e le lesbiche della città.
Per questo ci avranno solo e sempre guerrigliere, ci avranno sempre in lotta contro tutte le forme di oppressione, contro tutte le strategie per ridurci al silenzio.
Invitiamo tutte e tutti a sentirsi coinvolt* nella lotta contro la normalizzazione della situazione in via dei Volsci (perché anche il controllo della Bamba Spa con tutto il suo portato cultural-fascista è normalizzazione!) e ad esprimere ognun* con le sue forme che il 26 e il 28 sono sedi politiche storiche del movimento romano e che gli spazi occupati dai compagni e dalle compagne, sono i compagni e la compagne a decidere se chiuderle e non certo fasci e consimili.
Noi femministe e lesbiche la via l’occupiamo da anni e confidiamo che altri e altre sceglieranno di attraversarla e di occuparla, trovando la loro forma di resistenza alla repressione e al controllo che disciplina i corpi, le vite, le lotte in via dei Volsci.
Invitiamo tutte le donne, le femministe, le lesbiche sabato 18 gennaio dalle 11 in via dei volsci 22 per risistemare la sede e animare quella parte di quartiere mostrando come alla repressione noi rispondiamo con la lotta.
Ricordiamo a tutte la prossima colazione resistente antisgombero venerdì 24 gennaio alle ore 8h30 puntuali.
non un passo indietro
compagne femministe e lesbiche del 22
Eccoci qua allo scadere dell’anno con l’ennesimo attacco dinamitardo alla sede femminista e lesbica di Via dei Volsci 22.
E’ stato introdotto un bombone all’interno della sede che ha procurato gravi danni usati ora in maniera strumentale e pretestuosa dalla proprietà. Questa ha repentinamente allertato i vigili del fuoco i quali hanno dichiarato i locali confinanti inagibili.
Sono quattro anni che la proprietà prova a mandarci via e a mettere all’asta i locali.
Sono quattro anni che resistiamo e impediamo l’accesso nella nostra sede all’ufficiale giudiziario.
Beh, dove non arriva lo stato, dove le società immobiliari e finanziarie trovano la nostra resistenza, ci pensa la bassa manovalanza dello spaccio di San Lorenzo, funzionale al mantenimento del controllo del territorio, in difesa di interessi economici della ‘Bamba Spa’, altra faccia della repressione che ci vuole sottomesse e docili.
Noi Via del Volsci l’abitiamo da anni e non ci cacceranno né le aggressioni sessiste e lesbofobiche, né le bombe, né tanto meno le minacce di inagibilità che la proprietà vorrebbe usare contro di noi. Sappiamo quanto sia importante che i luoghi liberati da alcune restino liberati per le altre, in modo da accogliere sempre “il possibile” delle esperienze politiche di tutte le femministe e le lesbiche.
Per questo ci avranno solo e sempre guerrigliere, ci avranno sempre in lotta contro tutte le forme di oppressione, contro tutte le strategie per ridurci al silenzio.
Le compagne femministe e lesbiche del 22
A pochi giorni dall’appello del processo di L’Aquila vogliamo condividere alcune riflessioni scaturite nel corso di questo ultimo anno in cui abbiamo espresso la nostra solidarietà alla donna lasciata in fin di vita davanti alla discoteca di Pizzoli. Il processo di L’Aquila ha mostrato emblematicamente l’ipocrisia e la violenza che caratterizzano i processi per stupro, armi di cui si serve il potere patriarcale nel momento in cui una donna esplicita la violenza subita. In questo processo in particolare sono evidenti le complicità tra potere militare e giuridico; reti di complicità e omissioni che hanno coinvolto persino il Pronto Soccorso che ha accolto la ragazza e che, parallelamente alla vicenda giudiziaria, hanno costruito anche il discorso mediatico. A L'Aquila è stato legittimo stuprare e tentare di uccidere una ragazza da parte un gruppo di uomini in divisa. La mentalità dell’esercito e dei corpi militari in generale spinge a rafforzare una cooptazione maschile basata su una disciplina indiscutibile. Gli uomini che stuprano in situazioni di conflitto o guerra sono individui che si sentono autorizzati a quel comportamento perché indossano una divisa che è la stessa che li protegge. Questa logica non viene agita solo sui territori di guerra e conflitto ma diventa strumento di ordinaria amministrazione dei contesti cosiddetti civili. Così L’Aquila ci ha raccontato come viene autorizzata e perpetuata la cultura dello stupro attraverso gli apparati militari e in seguito politico-giuridici e come, in un territorio controllato e governato da una particolare sperimentazione sociale dal terremoto in poi, venga garantita la possibilità che lo Stato non processi se stesso. Infatti il processo di L'Aquila mostra come non ci sia più neanche bisogno della retorica della mela marcia, perché a L’Aquila come in tutti i territori militarizzati, i limiti del diritto e di cosa è legittimo o no, saltano. Dunque, sul piano simbolico e non solo, casi che sembrano eccezionali (L’Aquila, San Basilio, Quadraro) rafforzano l’immaginario del corpo della donna come territorio di conquista. Anche il sistema legislativo e giudicante ha espresso la non volontà della ricostruzione reale dei fatti avvenuti in quella discoteca a Pizzoli e confermato la contraddittorietà del piano legale per le donne che subiscono violenza. Inoltre nel caso del processo di L’Aquila la debolezza dello strumento legale si è amplificata perché non sono state rispettate neanche le procedure di indagine ordinarie minime consentite. Questo svela come - al di là di provvedimenti legali sempre più formalmente specificanti delle diverse forme di violenza contro le donne(come ad esempio lo stalking) - nella realtà e nella concretezza di quello che avviene nei tribunali non sono mai le donne a definire, nominare e reagire alla violenza contro di loro. Le leggi non corrispondono alle nostre esigenze, perché lo stupro è la minaccia sociale attraverso la quale il controllo sulle donne e le lesbiche è garantito. Eppure anche se il piano legale è tutto compromesso a volte manteniamo un dialogo frustrante con le istituzioni, che presentano la denuncia legale come il solo strumento di rottura del silenzio. Molte donne scelgono la denuncia come modo di rendere visibile la loro esperienza, perché è alla società che richiedono un riconoscimento di quello che hanno subìto. La nostra presenza davanti ai tribunali accanto alle donne che intraprendono questo percorso è perché non neghiamo le differenti forme con le quali le donne decidono di rompere il silenzio e perché sappiamo quanto è violento l’apparato giudiziario e mediatico contro le donne che decidono di denunciare. Crediamo che la scelta del percorso della denuncia sia legata però alla grande difficoltà di rottura collettiva del tabù dello stupro. Riconosciamo che questo tabù ci limita nell’immaginare delle risposte collettive ed individuali diverse alla denuncia legale. La difficoltà di un discorso delle donne e delle lesbiche contro la violenza che subiamo, difficoltà che sta dentro alla fatica di smascherare e lottare contro il potere patriarcale così radicato, compromette la nostra libertà di reagire alla violenza. La storia dello stupro sui nostri corpi la vogliamo raccontare noi. Una storia che deve essere detta perché lo stupro è una pratica di annientamento e un atto di guerra dentro un discorso politico e sociale che la vuole astorica, per non disegnarne i contorni, riassorbendo gli agenti nella “normalità” dell’esistente. Accade nelle famiglie, accade nei quartieri, accade nei territori occupati delle tante guerre. Chi è uno stupratore? Chi è uno stupratore in divisa ? Chi sono Tuccia, Buccella e Schiavone? Dobbiamo riappropriarci delle parole per dire questo esistente, perché una storia raccontata da noi ci può riconsegnare a noi stesse. Per questo SAREMO ALL'AQUILA IL 6 DICEMBRE all’apertura dell’udienza di appello con la ferma intenzione di portare la nostra voce in quel territorio con tutte le forme necessarie. ASSEMBLEA DOMANI MARTEDÌ 3 DICEMBRE ORE 20 in VIA DEI VOLSCI 22 Compagne femministe e lesbiche militariallaquila@anche.no